Quando sentiamo il termine "Invasioni Barbariche" ci immaginiamo degli imponenti eserciti barbari che da nord invadono l'Impero Romano devastandolo e ponendo su di esso la parola Fine. Eppure le cose non andarono così; i meccanismi che portarono Roma al collasso furono molteplici e distribuiti su una fascia di tempo assai più lunga e complessa.
Ma procediamo con ordine analizzando quale era la situazione dell'Impero Romano all'alba del IV sec d.C, e quali furono le cause che resero il terreno fertile affinché tale fenomeno potesse avvenire.
Roma da Marco Aurelio circa in poi non aveva più una stabilità come quella dei tempi più antichi; la situazione politica era spesso delicata e fragile, e per di più gli Imperatori morivano come “mosche” vittime di congiure o malanni (alcuni dei quali sospetti). Molti territori dell’Impero inoltre erano abbandonati e campi, un tempo coltivati, davano ora spazio a rovi e boscaglia. La soluzione che si adottò dal II sec d.C fu quella di accogliere sempre più barbari nell’Impero dandogli terre da coltivare con l’obbligo di servire all’occorrenza nell’esercito. Bisogna precisare infatti che i Barbari non volevano distruggere le città dell’Impero o conquistarne i territori, bensì desideravamo fare parte della “Felicità Romana” così come veniva definita da alcuni intellettuali Romani. Infatti comodità come Acquedotti, Teatri, Spettacoli ludici o Acqua potabile corrente erano il simbolo di un mondo progredito e sicuro, a cui qualunque popolo avrebbe voluto far parte, in particolare coloro che si affacciavano direttamente sui confini Romani e potevano assistere a queste modernità.
Quando Roma accolse (o in alcuni casi deportò…) questi popoli all’interno dei confini Romani, ebbe cura di donargli un pezzo di terra ed una casa, cosicché questi uomini potessero coltivare le terre disabitate, pagare nuove tasse, e come già anticipato servire nell’esercito all’occorrenza. Potrà sembrare banale, ma tale sistema funzionò ed anche egregiamente, portando Roma ad una nuova fioritura economica ed incrementando anche la potenza dell’Esercito che divenne così sempre più “Barbaro” poiché sempre più soldati che servivano Roma provenivano da terre straniere.
Tutto procedette bene sino ad un giorno ben preciso: 9 agosto 378. Con tale data si fanno convenzionalmente iniziare le famose Invasioni Barbariche, ed in effetti non si hanno tutti i torti, poiché a partire da quel giorno sul suolo Romano si stanziarono degli eserciti di Barbari armati ed indipendenti dal controllo di Roma, vincitori nella grande battaglia di Adrianopoli ai danni dell’Imperatore Romano Valente.
Ma procediamo con ordine.
Ci troviamo in un giorno qualunque del 376 d.C, ossia due anni prima del disastro di Adrianopoli, e siamo sulle rive del Danubio, sul fronte orientale estremo dell’Impero. D’improvviso una massa enorme di persone giunge sulla riva opposta chiedendo asilo. Sono tanti e spaventati, ed hanno con sé carri e tutto quel poco che possiedono, inclusi anziani e bambini. Stiamo parlando di Goti, una tribù non proprio debole e che difficilmente si fa intimorire, eppure sono terrorizzati da un nemico che fa paura anche solo a nominarlo. Ma chi li spaventa? La risposta ha un nome ben preciso:gli Unni. Questo nuovo popolo veniva dalle profonde steppe asiatiche, ed era duro e violento più di qualunque altro. Gli Unni erano un popolo nomade, abituato a nascere, vivere e morire sui propri carri, frollando la carne sotto la sella del proprio cavallo. Erano gente dura ed abituata ad una vita difficile, e per questo erano feroci combattenti. I Goti provarono a resistergli fallendo, così pensarono bene dichiedere asilo al “grande Fratello” l’Impero Romano, che era ormai abituato ad accogliere, e quindi proteggere, Barbari nei propri confini. Così alle frontiere del Danubio giunsero migliaia di rifugiati Goti, chiedendo asilo ai funzionari Romani che pattugliavano il Limes (ossia il confine dell’Impero). Ma i funzionari non vollero assumersi la responsabilità di far entrare così tante persone, così optarono per trattenerle sulla riva opposta del Fiume, chiedendo prima il permesso all’Imperatore.
Quando l’Imperatore fu avvisato di tale situazione si trovava a sud, nella Mesopotamia, mentre stava organizzando una nuova guerra contro la Persia, nemico storico di Roma. La notizia che decine di migliaia di rifugiati Goti stavano chiedendo asilo giunse come una manna dal cielo, e Valente (l’Imperatore) acconsentì entusiasta al loro ingresso nell’Impero, convinto che molti di quei Goti li avrebbe arruolati poi nell’esercito gonfiando così le sue fila in vista dell’imminente guerra.
Quando il lasciapassare di Valente giunse sulle rive del Danubio, i funzionari Romani aprirono il passaggio organizzando traghetti per portare poco per volta i Goti nei confini di Roma.
Ma qualcosa non tornava...
I funzionari si resero conto che il numero di Goti non diminuiva, anzi aumentava sempre più. Questo perché al di là del Danubio si era sparsa la notizia che Roma aveva aperto le porte, così molti Goti titubanti se abbandonare o meno le proprie terre colsero l’occasione per oltrepassare il Fiume.
I funzionari furono spaventati dal continuo crescere di tale numero, e così decisero di chiudere la tratta lasciando famiglie divise chi su una riva, chi sull’altra e ancora molte genti al di là del Danubio con la continua paura che gli Unni potessero spuntare da un momento all’altro dalla boscaglia.
Nel frattempo nel suolo Romano si aprì un campo profughi, colmo di gente in attesa di venir registrata ed indirizzata verso la loro nuova vita. Ma vi erano anche famiglie a metà e bambini perduti con genitori rimasti sulla riva opposta del Fiume, o morti nel tentativo di attraversarlo. Così alcuni funzionari fiutarono l’enorme affare che vi era nell’aria, e avvisarono i mercanti di schiavi e alcuni nobili Romani che giunsero al campo e iniziarono a prendere bambini e bambine per farne schiavi. I funzionari così fecero bottino facendosi corrompere, e non solo da altri Romani come loro, ma anche dai Goti stessi, che con oro o gioielli di sottobanco, corruppero i funzionari per tenersi le armi portate da casa, cosa che era assolutamente vietata dall’amministrazione Romana.
Quando il caos si placò, un’imponente spedizione partì dal campo profughi per spostare i Goti nella città più vicina ed iniziare a spartire loro terre, mansioni e case.
Giunti a Marcianopoli, la città si presentò loro sbarrata, intimorita da quella immensa mole di Barbari. I capi Goti vennero così invitati dai funzionari Romani a banchettare all’interno delle mura di Marcianopoli, così da trovare delle soluzioni che potessero accontentare tutti. Ma nel frattempo le genti accampate fuori, stanche di quella situazione e dell’accoglienza loro riservata, si ribellarono ai soldati facendo scoppiare una furiosa rivolta che fu vinta dai Goti, che così si impossessarono delle armi Romane.
Ora i Goti possedevano un esercito armato dentro i confini di Roma, ed a nulla servirono le legioni, prima mandate e poi guidate, da Valente per placare tale rivolta. Così tutto si concluse (o iniziò) nel già citato 9 Agosto 378 d.C quando i Goti sbaragliarono le legioni guidate da Valente nella Battaglia di Adrianopoli, stanziandosi fissi da quel momento all’interno dell’Impero Romano e divenendo un popolo indipendente da Roma.
Questo è ciò che accadde, e che come un piccolo sasso scatenò poi nel tempo una violenta frana che portò passo dopo passo Roma alla sua caduta.
Ma procediamo con ordine analizzando quale era la situazione dell'Impero Romano all'alba del IV sec d.C, e quali furono le cause che resero il terreno fertile affinché tale fenomeno potesse avvenire.
Roma da Marco Aurelio circa in poi non aveva più una stabilità come quella dei tempi più antichi; la situazione politica era spesso delicata e fragile, e per di più gli Imperatori morivano come “mosche” vittime di congiure o malanni (alcuni dei quali sospetti). Molti territori dell’Impero inoltre erano abbandonati e campi, un tempo coltivati, davano ora spazio a rovi e boscaglia. La soluzione che si adottò dal II sec d.C fu quella di accogliere sempre più barbari nell’Impero dandogli terre da coltivare con l’obbligo di servire all’occorrenza nell’esercito. Bisogna precisare infatti che i Barbari non volevano distruggere le città dell’Impero o conquistarne i territori, bensì desideravamo fare parte della “Felicità Romana” così come veniva definita da alcuni intellettuali Romani. Infatti comodità come Acquedotti, Teatri, Spettacoli ludici o Acqua potabile corrente erano il simbolo di un mondo progredito e sicuro, a cui qualunque popolo avrebbe voluto far parte, in particolare coloro che si affacciavano direttamente sui confini Romani e potevano assistere a queste modernità.
Quando Roma accolse (o in alcuni casi deportò…) questi popoli all’interno dei confini Romani, ebbe cura di donargli un pezzo di terra ed una casa, cosicché questi uomini potessero coltivare le terre disabitate, pagare nuove tasse, e come già anticipato servire nell’esercito all’occorrenza. Potrà sembrare banale, ma tale sistema funzionò ed anche egregiamente, portando Roma ad una nuova fioritura economica ed incrementando anche la potenza dell’Esercito che divenne così sempre più “Barbaro” poiché sempre più soldati che servivano Roma provenivano da terre straniere.
Tutto procedette bene sino ad un giorno ben preciso: 9 agosto 378. Con tale data si fanno convenzionalmente iniziare le famose Invasioni Barbariche, ed in effetti non si hanno tutti i torti, poiché a partire da quel giorno sul suolo Romano si stanziarono degli eserciti di Barbari armati ed indipendenti dal controllo di Roma, vincitori nella grande battaglia di Adrianopoli ai danni dell’Imperatore Romano Valente.
Ma procediamo con ordine.
Ci troviamo in un giorno qualunque del 376 d.C, ossia due anni prima del disastro di Adrianopoli, e siamo sulle rive del Danubio, sul fronte orientale estremo dell’Impero. D’improvviso una massa enorme di persone giunge sulla riva opposta chiedendo asilo. Sono tanti e spaventati, ed hanno con sé carri e tutto quel poco che possiedono, inclusi anziani e bambini. Stiamo parlando di Goti, una tribù non proprio debole e che difficilmente si fa intimorire, eppure sono terrorizzati da un nemico che fa paura anche solo a nominarlo. Ma chi li spaventa? La risposta ha un nome ben preciso:gli Unni. Questo nuovo popolo veniva dalle profonde steppe asiatiche, ed era duro e violento più di qualunque altro. Gli Unni erano un popolo nomade, abituato a nascere, vivere e morire sui propri carri, frollando la carne sotto la sella del proprio cavallo. Erano gente dura ed abituata ad una vita difficile, e per questo erano feroci combattenti. I Goti provarono a resistergli fallendo, così pensarono bene dichiedere asilo al “grande Fratello” l’Impero Romano, che era ormai abituato ad accogliere, e quindi proteggere, Barbari nei propri confini. Così alle frontiere del Danubio giunsero migliaia di rifugiati Goti, chiedendo asilo ai funzionari Romani che pattugliavano il Limes (ossia il confine dell’Impero). Ma i funzionari non vollero assumersi la responsabilità di far entrare così tante persone, così optarono per trattenerle sulla riva opposta del Fiume, chiedendo prima il permesso all’Imperatore.
Quando l’Imperatore fu avvisato di tale situazione si trovava a sud, nella Mesopotamia, mentre stava organizzando una nuova guerra contro la Persia, nemico storico di Roma. La notizia che decine di migliaia di rifugiati Goti stavano chiedendo asilo giunse come una manna dal cielo, e Valente (l’Imperatore) acconsentì entusiasta al loro ingresso nell’Impero, convinto che molti di quei Goti li avrebbe arruolati poi nell’esercito gonfiando così le sue fila in vista dell’imminente guerra.
Quando il lasciapassare di Valente giunse sulle rive del Danubio, i funzionari Romani aprirono il passaggio organizzando traghetti per portare poco per volta i Goti nei confini di Roma.
Ma qualcosa non tornava...
I funzionari si resero conto che il numero di Goti non diminuiva, anzi aumentava sempre più. Questo perché al di là del Danubio si era sparsa la notizia che Roma aveva aperto le porte, così molti Goti titubanti se abbandonare o meno le proprie terre colsero l’occasione per oltrepassare il Fiume.
I funzionari furono spaventati dal continuo crescere di tale numero, e così decisero di chiudere la tratta lasciando famiglie divise chi su una riva, chi sull’altra e ancora molte genti al di là del Danubio con la continua paura che gli Unni potessero spuntare da un momento all’altro dalla boscaglia.
Nel frattempo nel suolo Romano si aprì un campo profughi, colmo di gente in attesa di venir registrata ed indirizzata verso la loro nuova vita. Ma vi erano anche famiglie a metà e bambini perduti con genitori rimasti sulla riva opposta del Fiume, o morti nel tentativo di attraversarlo. Così alcuni funzionari fiutarono l’enorme affare che vi era nell’aria, e avvisarono i mercanti di schiavi e alcuni nobili Romani che giunsero al campo e iniziarono a prendere bambini e bambine per farne schiavi. I funzionari così fecero bottino facendosi corrompere, e non solo da altri Romani come loro, ma anche dai Goti stessi, che con oro o gioielli di sottobanco, corruppero i funzionari per tenersi le armi portate da casa, cosa che era assolutamente vietata dall’amministrazione Romana.
Quando il caos si placò, un’imponente spedizione partì dal campo profughi per spostare i Goti nella città più vicina ed iniziare a spartire loro terre, mansioni e case.
Giunti a Marcianopoli, la città si presentò loro sbarrata, intimorita da quella immensa mole di Barbari. I capi Goti vennero così invitati dai funzionari Romani a banchettare all’interno delle mura di Marcianopoli, così da trovare delle soluzioni che potessero accontentare tutti. Ma nel frattempo le genti accampate fuori, stanche di quella situazione e dell’accoglienza loro riservata, si ribellarono ai soldati facendo scoppiare una furiosa rivolta che fu vinta dai Goti, che così si impossessarono delle armi Romane.
Ora i Goti possedevano un esercito armato dentro i confini di Roma, ed a nulla servirono le legioni, prima mandate e poi guidate, da Valente per placare tale rivolta. Così tutto si concluse (o iniziò) nel già citato 9 Agosto 378 d.C quando i Goti sbaragliarono le legioni guidate da Valente nella Battaglia di Adrianopoli, stanziandosi fissi da quel momento all’interno dell’Impero Romano e divenendo un popolo indipendente da Roma.
Questo è ciò che accadde, e che come un piccolo sasso scatenò poi nel tempo una violenta frana che portò passo dopo passo Roma alla sua caduta.
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